Not a damn thing changed

Finalmente il giorno di riposo era arrivato, dopo una settimana intensa di lavoro e di problemi familiari. 

La voglia di trovarmi a casa, da sola, in silenzio, con le cuffie alle orecchie ad ascoltare musica fino a diventar sorda, mi fece venire voglia di stendermi sul divano e rilassarmi. 

Occhi chiusi, la voce di Lukas Graham, appena scoperto, mi portarono a ricordare una serata tra amici un pò speciale.

“Era l’estate del 2015, faceva caldo, avevo chiesto il permesso di poter uscire con degli amici del gruppo Bdsm, con i quali mi vedevo spesso, ormai da 5 anni. 

Sapevo di non dover chiedere il permesso, ma mi piaceva da morire farlo. Non mi aveva mai detto di no, aveva estrema fiducia in me, come io di Lui. 

Sapevo esattamente che mi avrebbe chiesto di fare alcune cose e la cosa mi eccitava e mi spaventava allo stesso tempo. 

Ma, era il Suo modo per potermi stare “addosso”, quando non poteva esserci.”

Tiro un sospiro e sento i capezzoli diventare turgidi e penso a come i ricordi non facciano dimenticare le emozioni.

Passo una mano sopra la canottiera e sento i capezzoli turgidi, ritti, avrebbero voluto essere stretti, magari con delle mollette o con degli elastici o semplicemente con le Sue dita.

“La Sua risposta non tardò ad arrivare. Mi scrisse che sarei potuta andare solo ed esclusivamente con un determinato abbigliamento e portando con me alcune cose. 

La Sua fantasia mi aveva portato, spessissimo, in luoghi a me sconosciuti. 

Il Suo modo di parlarmi, il Suo modo di essere sempre presente, anche quando non poteva esserci, la Sua voglia di me, mi rendevano completamente libera di essere Sua come più gli piaceva.

Era un sabato, si era deciso di andare in moto a Finale Ligure, a trovare un paio di coppie di amici e di mangiare e rimanere da loro per la notte.

Sarei andata con un Master, di cui avevo estrema fiducia e di cui avevo parlato tantissimo a Lui. 

Una persona di una certa età, educata, simpatica, buon padrone di casa e amante delle corde.

Era ancora inizio pomeriggio, quando mi squillò il telefono. 

Era Lui. Il cuore in gola. Non mi chiamava spesso e questo rendeva il momento speciale.

‘E così vuoi andare a questa cena con amici?’ , me lo disse con voce canzonatoria, quasi a prendermi in giro. 

Quanto adoravo quel modo che aveva di fottermi la testa, solo con la voce.

‘Si Padrone, mi farebbe piacere’.

‘Sai che ti dirò esattamente cosa fare, come farlo e quando farlo?’

Ora l’ansia si era impadronita di me, cominciavo a mordermi il labbro e non sapevo se dire di si o di no.

‘Si Padrone e non vedo l’ora di sapere..’ la mia voce si interruppe al Suo ‘Silenzio ed ascolta. Vai davanti l’armadio ed aprilo, non mi interessano i vestiti che metti per uscire normalmente, voglio qualcosa che ti cinga il seno e ti costringa la vita. Metti la cam e fammi vedere’.

Feci quello che mi ordinò. 

I denti affondavano sulle labbra, un sorriso spuntò sul mio viso e sentivo l’eccitazione crescere dentro di me.”

La musica si fece più intensa. Era arrivato il momento dei Thirty Seconds To Mars – Closer to the edge – che ascoltata con questi pensieri, mi fa venire in mente polsiere attaccate al muro, nuda, di schiena e Lui che usa le fruste, sempre più velocemente e sempre più forte.

Una mano si infila sotto la maglietta a stringere quel capezzolo, così tanto forte, che mi scappa un gemito seguito da un sospiro. Ad occhi chiusi.

“Cam aperta, inquadro la sezione dell’armadio dedicata alle serate a tema. Non era una di quelle sere, ma Lui voleva che io indossassi qualcosa di particolare. 

‘Tira fuori il corsetto nero a righe sottili grigie, quello che si abbottona davanti, indossalo e fammi vedere come ti sta’. 

Odiavo quando mi chiedeva di spogliarmi in cam, non amavo il mio corpo. Non amavo che mi vedesse così. 

Mi spogliai del tutto, presi il corsetto e lo indossai. 

Mi piaceva da morire, e Lui lo sapeva. Mi faceva stare a mio agio, mi proteggeva, in qualche modo. Anche se mostrava più di quel che avrei voluto far vedere.

‘Bene, ora passiamo a qualcosa da mettere sotto’.

Gli aprii il cassetto dell’intimo. ‘No, niente intimo, non ne indosserai. O per lo meno, lo indosserai, ma non quello’.

Eccolo lì. Il nodo allo stomaco, quello che ti toglie il fiato e che ti fa arrivare una vampata di calore fino alla guance.

Non potevo vederLo, ma Lui si era sicuramente accorto di ciò che mi stava succedendo.”

Non la sentivo da anni questa sensazione, questa voglia di essere finalmente libera. Libera da tutto ciò che mi circonda. Libera di essere ciò che sono.

Non la sentivo da anni questa voglia di rimettermi in gioco, di regalare me stessa a qualcuno di importante.

Le dita stringono nuovamente il capezzolo, ancora più forte ed ancora più a lungo, quasi a volerlo strappare. 

Una familiare sensazione di calore dal basso verso l’alto. La voglia di toccarsi, di sentirsi, di vivere quel momento.

“ ‘Prendi quei jeans neri, i più attillati e indossali e poi prendi le scarpe bianche con il tacco nero’.

Presi ciò che mi aveva chiesto e lo indossai. 

Mi sentivo bene. Perfettamente a mio agio. Mi fece voltare, camminare, chinare. 

‘Spogliati, fai una doccia calda, masturbati ma non godere, per quello non hai il permesso, dopo di che ti dirò cosa altro devi fare’. Abbassai il viso in segno di comprensione e chiuse la chiamata.

Mi sentivo sfinita, svuotata, come se mi avesse rivoltata da testa a piedi. Mi spogliai ed andai verso la doccia.

Ci furono diversi momenti, nei quali pensai di non seguire i Suoi ordini, un pò per il carattere ribelle che mi contraddistingueva, un pò perchè avrei voluto che mi punisse se lo avessi fatto.

Decisi ugualmente di seguire i Suoi ordini. Feci la doccia, mi masturbai, lentamente, quasi volessi non arrivare mai alla fine. Purtroppo ciò non accadde, arrivai troppo presto alla fine e riuscii a fermarmi a limite.

Mi aspettava un accappatoio di quelli morbidi, da perdercisi dentro. Restai un pò lì con le braccia avvolte su me stessa, come a voler placare quel desiderio. Non riuscii a placarlo.

Controllai il telefono, un Suo messaggio.

‘Asciugati i capelli e truccati, poi vai in camera da letto ed apri quel cassetto’.

Diventai paonazza e subito rosso fuoco e di nuovo paonazza.

‘Si Padrone’.”

Oddio, ricordo ancora molto bene cosa conteneva “quel cassetto”.

Ricordi di un tempo passato che fa fatica a svanire. Che vorrebbe ritornare prepotente per non smettere più.

“Mi asciugai i capelli, mi truccai leggermente gli occhi, non amo i trucchi eccessivi e caotici e poi avrebbe parlato il mio di abbigliamento.

Gli inviai un messaggio per dirGli che ero davanti al cassetto.

Mi chiamò ‘Prendi i morsetti, quelli rotondi neri e mettili ai capezzoli, adesso, con me al telefono’.

Misi il vivavoce, poggia il telefono sul letto e cominciai a stringere i capezzoli per farli indurire, mi ci vollero 2 secondi, misi i morsetti. 

‘Bene, adesso prendi il nastro di seta nero e mettilo attorno a ciascun seno, dopo di che annodi tutto dietro al collo. Non stringere troppo.’

Feci ciò che mi chiese, gli occhi brillavano, ero eccitata al pensiero di dover indossare i nastri tutta la sera, non sapevo esattamente a cosa andassi incontro, ma mi fidavo.

‘Adesso prendi l’ovetto vibrante, cambia le pile, accendilo ed indossalo’.

Entrò senza alcuna difficoltà, e lo sentii subito vibrare. Lo aveva acceso. ‘Portati delle pile di ricambio, ho il sentore che lo sentirai spesso vibrare’, di nuovo quella voce provocatoria.”

Le gambe si stringono tra loro, voglia di ciò che era, di ciò che sono. Mentre la musica continua a cambiare, l’altra mano accarezza il ventre. Sfilo i pantaloncini e faccio scendere le gatte. 

Sento il mio corpo caldo, desideroso di tutto ciò che mi manca.

Sfilo lo slip.

“ ‘Prendi la corda, quella di canapa non completamente trattata, da 4 mm e falla passare tra le gambe, poi passala attorno alla vita e ripassala un’altra volta tra le gambe, poi annodala bene all’altro capo. Ovviamente devi stringere. Fai con calma. Alla fine di tutto, fammi una foto’.

Chiuse così la telefonata.

Sapevo benissimo che sia con la corda, sia con l’ovetto, ed il conseguente viaggio in moto, non sarei sopravvissuta alla serata. 

La corda era ruvida, sprigionava un meraviglioso profumo e tra le gambe sentivo l’eccitazione crescere ad ogni movimento. 

I capezzoli erano ancora più turgidi ed il seno gonfio. 

Mi feci la foto e la mandai. 

Avrei voluto un orgasmo, lo sentivo arrivare ad ondate costanti ed a volte dolorose.

‘Vestiti quando sarà il momento di uscire, adesso cammina, prepara la borsa, ovviamente niente biancheria. Porta una borsa a tracolla per la serata, metti dentro il plug a diamante ed ovviamente il tuo “collare”’.

Trasalii. Il collare… Quello che Lui usa per portarmi in giro, per addestrarmi o per punirmi. Quel collare, che amo ed odio allo stesso tempo, che mi eccita e mi fa paura.

Con un pò di timore risposi di si.”

Non avevo bisogno di toccarmi per sapere che ero eccitata e pronta per le mie dita. 

“Mi finii di preparare. La corda fregava, l’ovetto vibrava ad intermittenza ed io non ce la facevo già più a resistere. Mi fermai diverse volte e come se Lui sapesse ‘Non puoi godere ricordalo’.

Quanto lo odiavo in quei momenti. Quanto odiavo questo suo ordine. 

E quanto lo amavo, invece, quando lasciava che l’orgasmo esplodesse così dal nulla. 

Uscii di casa, con la sensazione che tutti sapessero, che mi guardassero perchè camminavo in maniera strana. Ad ogni passo mi mordevo il labbro per non gemere. Era una tortura meravigliosa ed odiosa.

Avrei voluto fermarmi e godere in mezzo alla strada, in quel momento non mi sarebbe interessato di nulla. 

L’ovetto cambiò vibrazione, più forte, più lunga, più intensa. Credo che Lui sentisse i miei pensieri o il battito del cuore. 

Feci in tempo ad appoggiarmi ad una macchina ed esplose l’orgasmo. Violento, profondo. Emisi un gemito di piacere. Mi accasciai sulle gambe, respiravo affannosamente.

Lo odiavo in quel momento. Presi il telefono per scrivergli un messaggio, ma ne trovai uno Suo. 

‘Eri già con M. oppure ti ha colto per strada?’. 

‘Per strada Padrone.. ma come fai a saperlo?’

‘Perchè ti sento! Vai a divertirti, ci sentiamo dopo’.

Mi ricomposi ed andai verso casa di M. Gli chiesi se potessi andare in bagno, mi sciacquai il viso e sistemai la corda e partimmo.

In moto è stato un disastro. La vibrazione della moto, le buche, l’ovetto, la corda, avevo i jeans un lago e gli orgasmi non li contai più. 

Sentivo soltanto il desiderio di arrivare a destinazione. 

I movimenti del corsetto, per fortuna tenevano a bada il seno, ma quando mi appoggiavo ad M., sulla moto, sentivo i capezzoli doloranti ed il seno gonfio. Non so cosa sia più fastidioso ed eccitante. La combinazione delle due cose sicuramente rende tutto fantastico.”

Le mie dita si muovono sul clitoride, autonomamente, mentre i pensieri scorrono veloci nella mia testa.

“Arrivati a destinazione, presi il telefono e controllai eventuali messaggi. Ancora nulla. Pensai a quanto tempo mi avrebbe fatto stare così o quando mi avrebbe chiesto di mettere il plug.

Finalmente ci sedemmo, la compagnia era piacevole. Per fortuna non ero la sola ad essere un pò “eccentrica”. Mi rincuorava. 

Con loro non avrei dovuto preoccuparmi di essere me stessa, ma non ho mai raccontato di Lui, non avrebbero capito. Loro erano persone da rapporti occasionali, da serate e basta. 

Non capivano che a volte c’è decisamente di più di una semplice sessione.

A metà cena, mi arrivò un Suo messaggio ‘Cerca il bagno e portati la borsa, quando sei lì chiamami’. 

Il cuore in gola. Finalmente, pensai, mi potrò togliere qualcosa. Andai in bagno con quel pensiero felice.

Mi assicurai che non ci fosse nessuno e Lo chiamai.

‘Come sta andando la serata?’

‘Bene Padrone..’

‘Non voglio togliere nulla al tuo intimo, anzi voglio che tu adesso metta il plug. Avrai notato che l’ovetto non vibra da un pò? Sarà anche il caso di cambiare le pile, non vorremmo mai che si scaricassero sul più bello, non credi?’

‘Si Padrone’ lo dissi con un filo di voce. ‘Chiuditi dentro un bagno e fai ciò che devi, io aspetto al telefono’.

Chiusi la porta a chiave, tirai un sospiro e feci ciò che dovevo. 

Mi abbassai i pantaloni, con difficoltà, scostai le corde, erano zuppe dei miei umori. La pelle era arrossata, gonfia, dolorante al tatto. Sfilai l’ovetto, cambiai le pile e lo rimisi al suo posto. 

Presi il plug, lo misi in bocca, e pian piano comincia ad inserirlo. Appena lo inserii, l’ovetto cominciò a vibrare ed emisi un urlo di piacere, mi portai le mani alla bocca, ma servirono a poco.

Avevo dimenticato di essere in un bagno e non sapevo se fosse entrato qualcuno.

Presi il telefono, Lui era ancora lì, in attesa. ‘Brava, torna pure alla tua serata’. 

Non riuscivo a camminare, era un susseguirsi di emozioni, i capezzoli cominciavano a fare veramente male, le vibrazioni non mi davano tregua, era come se vibrasse ogni centimetro del mio corpo.

E la serata non era ancora finita. 

Mi sistemai meglio che potevo e tornai alla serata.

Non so se i miei amici si accorsero di qualcosa, ma la persona al mio fianco, mi chiese se stessi bene, ed io le risposi che non ero mai stata meglio di così.”

Non passò molto tempo da quel pensiero, che ebbi uno di quegli orgasmi che provai in quegli anni. Le dita sul capezzolo stringevano come a volerlo strappare. Le dita sul sesso continuavano a muoversi.

La testa era a quelle emozioni, a quelle sensazioni, a quella serata, a Lui. Ma nello stesso tempo, si trovava nel presente, cercava quelle emozioni, le desiderava, senza poter trovare l’appagamento necessario.

“Un altro messaggio, quasi a fine serata ‘Vai in bagno e porta la borsa’. Non riuscii ad alzarmi subito dalla sedia, ero rimasta seduta troppo a lungo. Appena mi alzai, l’ovetto vibrò ed io persi l’equilibrio. La ragazza vicino a me, mi sorresse e mi accompagnò in bagno.

Mi chiese, nuovamente se stessi bene e le risposi di si. 

Mi lasciò da sola e tornò al tavolo. Presi il telefono e lessi il messaggio. ‘Apri la porta centrale ed aspetta’.

Passarono minuti interminabili, sentii aprire la porta del bagno, un respiro, un’odore, il Tuo. Ma come è possibile, come hai fatto?

Sento aprire la porta, il bagno era stretto, ci entravamo a pelo.

Il Tuo sguardo su di me, sul mio corpo, sui miei occhi.

Non c’era nulla da dire. Ci baciammo, uno di quei baci lenti, profondi, che sapevano di gioco, di noi, di intimità.

Slacci il nastro dal collo, ti sospiro in bocca, per il dolore che comincio a provare. Stringo le mani sulla tua schiena, come a volermi aggrappare per non cadere.

Abbassi la cerniera dei pantaloni e li fai scivolare giù, sfiori le corde, come se fossero dei corpi estranei e con un colpo le tiri verso l’alto. Urlo dal piacere e dal dolore che questo mi provoca. 

Mi lasci così, appoggiata al muro, mi guardi. Mi vuoi, Ti voglio.

Prendi la mia borsa, la apri. Tiri fuori quel collare di metallo lucido con un piccolo cerchio al quale Tu solitamente metti il guinzaglio. 

I Tuoi occhi sono brillanti, felici, giocosi, sembrano quasi liquidi dal piacere che provi. Mi vedo con i tuoi occhi e mi trovo bellissima.

Mi fai girare, mi metti il collare e lo chiudi con il codice di sicurezza. 

Le tue mani scendono verso il basso, mi sfilano l’ovetto e riempi lo spazio con il tuo sesso, fino a che non porti la Tua mano sulla mia bocca per non farmi urlare di piacere. Piacere che arriva dopo pochissimo tempo.

Non mi accorgo del guinzaglio che mi hai messo. 

Usciamo dal bagno e mi porti al tavolo così. Fradicia di umori e con gli occhi pieni di Te.

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